Forze politiche e Istituzioni
Azioni di adattamento
Ovvero azioni per adattarsi alle conseguenze già presenti del cambiamento climatico e a quelle future, in una qualche misura inevitabili, sia per il tempo necessario al processo di mitigazione, ovvero di decarbonizzazione delle nostre economie, sia per l’inerzia climatica già descritta nella realtà della crisi ambientale.
Finalizzare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, in modo da collegarlo ai piani regionali di adattamento già esistenti, motivandone di nuovi e portando alla creazione di un sistema di governance nazionale-regionale-comunale per pianificare, finanziare, attuare e monitorare azioni di adattamento in vari settori
Progredire nel raggiungimento di tutti i 3 macro-obiettivi della nuova Strategia Europea di Adattamento (2021):
- Adattamento più intelligente: migliorare le conoscenze e gestire le incertezze
- Adattamento più sistemico: sviluppo di politiche di sostegno a tutti i livelli e in tutti i settori
- Adattamento più rapido: accelerare l’adattamento a livello trasversale
Ridurre il rischio di alluvione, con azioni sia di tipo strutturale (in “tempo differito”), ovvero di pianificazione territoriale; sia di tipo non strutturale (in “tempo reale”, cioè in corso di evento), ovvero di monitoraggio e di preannuncio idro-meterelogico
Dare avvio a una formazione permanente della popolazione sulla “cultura del rischio”, a partire dalle scuole, che rafforzi l’educazione alla cultura della legalità (l’esposizione dei nostri corpi e dei nostri beni viene aggravata moltissimo dall’abusivismo, purtroppo molto diffuso nel nostro paese)
Per un approfondimento sull’adattamento, si veda il contributo di Carlo Cacciamani, fisico e meteorologo, ItaliaMeteo.
Azioni di mitigazione
Ovvero azioni per decarbonizzare il sistema energetico, in modo da rallentare e poi arrestare il riscaldamento globale e le sue conseguenze, prima che raggiungano un livello cui non sia più possibile adattarsi.
In particolare, il nostro paese si è impegnato, con la sottoscrizione dell’accordo di Parigi, a decarbonizzare il sistema energetico entro il 2050. Al momento l’Italia ha ufficialmente presentato una Longterm Strategy che prevede che al 2050 “la generazione elettrica sia assicurata tra il 95% e il 100% da fonti rinnovabili, a seconda che si conservi o meno un residuo di gas naturale”. Ottenere un obiettivo di questa portata in così breve tempo è sicuramente molto ambizioso e richiede non solo un adeguamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima ai nuovi obiettivi di decarbonizzazione, ma una ristrutturazione completa del sistema – non quindi una semplice sostituzione di una tecnologia di generazione basata sulle fonti fossili con un’altra.
Enti di ricerca, agenzie nazionali e internazionali, università e think tank di tutto il mondo hanno sviluppato innumerevoli scenari per il raggiungimento di questo obiettivo. Ogni scenario presenta alcune peculiarità, ma è possibile identificare alcuni tratti comuni che sono previsti in pressoché ogni scenario identificato:
– Riduzione dei consumi energetici totali primari e finali, industriali e domestici (nei paesi a economia matura, come l’Italia)
– Miglioramento significativo dell’efficienza energetica (ad esempio isolando gli edifici e applicandovi tetti ricoperti di vegetazione, sostenuti da un uso razionale, facile e controllato di incentivi come l’ecobonus)
– Elettrificazione dei principali usi termici, come riscaldamento e trasporti (sostituzione con pompe di calore delle caldaie per il riscaldamento; elettrificazione degli edifici pubblici con istituzione almeno di un fondo a rotazione; sostituzione con motori elettrici dei motori a combustione interna – vietandone la vendita entro una data ravvicinata; trasferimento di quote rilevanti del trasporto merci su treno)
– Produzione di elettricità da fonti rinnovabili (in particolare eolico e fotovoltaico dovrebbero contribuire ad almeno il 70% del totale, raddoppiando in Italia entro il 2030, con la messa in rete di ulteriori 53 terawattora – occorre sbloccare le autorizzazione per le rinnovabili e, per aumentarne l’accettabilità sociale, si può puntare a definire per decreto aree idonee per gli impianti come quelle marine – impianti offshore – e, tra quelle terrestri, individuando aree dismesse o da bonificare o comunque da riqualificare; occorre inoltre dare impulso all’autoproduzione domestica e industriale, realizzando una rete capillare di piccoli impianti gestiti da comunità energetiche, di cui occorre completare il quadro normativo e che occorre sostenere con un piano pubblico per l’installazione di pannelli fotovoltaici – per il ruolo della transizione alle rinnovabili e in particolare delle comunità energetiche alla lotta all’inflazione e alla povertà energetica si vedano i due contributi di Leonardo Becchetti, economista, Università di Tor Vergata, Roma)
– Integrazione di tecnologie di accumulo (tra gli altri, accumuli orari/giornalieri, basati ad esempio sulle batterie; tra gli altri, accumuli stagionali, basati su produzione di idrogeno verde)
– Tecnologie di gestione della domanda, che prevedano il funzionamento di alcune tecnologie di uso finale, come pompe di calore o batterie per l’autotrazione, in funzione delle esigenze di bilanciamento della rete (ad esempio le auto elettriche in sosta si caricano in funzione della disponibilità di elettricità sulla rete)
– Realizzazione di nuove interconnessioni intranazionali e internazionali per facilitare l’integrazione territoriale
Emerge quindi chiaramente la necessità di realizzare un sistema energetico molto più flessibile di quello attuale. Come pure quella di abbandonare i sussidi alle fonti fossili: in Italia ogni anno 35,5 miliardi di euro vengono spesi per sostenerne la produzione e l’impiego, gravando in modo importante sui conti pubblici – se è indispensabile tutelare in altro modo le categorie che ne usufruiscono, si tratta di risorse rilevanti che potrebbero essere destinate utilmente a sostenere la transizione ecologica.
Economia circolare
Il progressivo esaurimento delle risorse impone di passare ad una economia circolare, ovvero in cui le materie utilizzate per la realizzazione di prodotti tornino nel ciclo economico una volta terminata la vita utile dei prodotti stessi.
Su questo tema occorre uno sforzo economico importante, unitamente a coraggiose scelte politiche e gestionali. Molto contenuta appare la quota di finanziamento destinata all’Economia Circolare all’interno del PNRR (4,5 miliardi di euro). Occorre invece realizzare una rete impiantistica tale da rendere autosufficiente ogni regione e provincia italiana per il riciclo dei rifiuti e il riuso dei beni a fine vita (evitando tra l’altro le procedure di infrazione, che costano alla comunità, come è il caso della Campania, centinaia di migliaia di euro al mese).
Occorre promuovere iniziative di ricerca e sviluppo per nuove tecnologie e processi industriali per diverse filiere di rifiuti (RAEE, plastiche…), in modo da recuperare e riciclare materie prime preziose e critiche.
Occorre promuovere la raccolta di rifiuti tessili e la raccolta e redistribuzione di eccedenze alimentari.
Formazione e ricerca
Bisogna investire in formazione e ricerca, a maggior ragione in un momento di crisi. La formazione è necessaria per avere cittadini e politici consapevoli, e la ricerca è fondamentale per lo sviluppo.
Formazione significa fornire agli studenti (ma anche ai cittadini, secondo il principio della formazione permanente) una preparazione inter- e trans-disciplinare, in modo da creare uno spirito critico, necessario per affrontare le grandi sfide di oggi e i temi della sostenibilità – nelle sue tre dimensioni, ambientale, economica e sociale.
Ricerca, poi, significa investire fondi avendo sempre in mente il bene sociale e pubblico. Dato che i finanziamenti, per quanto cospicui, sono sempre limitati, occorre definire le linee di ricerca da potenziare, privilegiando i temi prioritari della nostra epoca: di tipo sanitario, ambientale, economico e sociale.